Il
viaggio Sciamanico
di Davide Carlo Ferraris
n° 15 - 2007
“Viaggio Sciamanico”,
due parole che nella cultura di massa contemporanea
evocano emozioni forti, tra cui fascino, esotismo, curiosità,
diffidenza, ansia, aspettativa, speranza. Il viaggio
e lo sciamano rappresentano entrambi un incontro con
lo sconosciuto, con il mistero, il superamento del confine
di un territorio noto per addentrarsi in profondità
nell’esperienza del reale ignoto. Un incontro
che richiede coraggio nell’abbandono delle sicurezze
e forza nell’accogliere ogni evento come sfida
positiva. Quando il viaggio è sciamanico, significa
che ci stiamo trovando nel cuore di un percorso evolutivo
interiore, comunque lo si definisca.
Come ci ricordano i grandi studiosi delle religioni,
tra gli altri M. Eliade (1), C.G. Jung (2), E. Zolla
(3), lo sciamanismo, antico di almeno cinquantamila
anni, è all’origine di ogni percorso spirituale
e attraversa in modo omogeneo tutti i popoli e le culture
fino ai tempi moderni. Passa attraverso il mitraismo
e i misteri eleusini nel mondo greco-romano, ma anche
la tragedia e gli eroi orfici. Più tardi, in
occidente, lo ritroviamo nell’alchimia o nella
recente teosofia e oggi nella ricerca scientifica più
avanzata, ad esempio nella fisica dei quanti e nella
medicina PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia). Nel
mondo, lo troviamo nel taoismo in Cina, nello yoga vedanta
in India, nella cabala giudaica o nel sufismo islamico.
Anche le grandi religioni rivelate e fondate su testi
sacri, indicano in una qualche esperienza di tipo sciamanico
un loro importante momento fondativo, che si tratti
delle meditazioni di Gesù nel deserto, di Maometto
sul monte Hira o di Mosè sul Sinai.
Allo stesso modo, l’arte medica come capacità
di cura del corpo e della mente è stata, in primo
luogo, un’arte sciamanica, che si tratti di chirurgia,
erboristeria, massoterapia o psicoterapia.
Lo sciamano, questo sconosciuto, merita dunque la massima
considerazione e rispetto, ma soprattutto la nostra
disponibilità a capirne l’eredità
più preziosa ed esserne capaci e onorevoli collaboratori
se non interpreti. Un’eredità costituita
da conoscenze e strumenti operativi o, forse soprattutto,
un particolare stato di coscienza, una grande capacità
di rapportarsi con la diversità, di sacrificarsi,
di amare gli altri e la natura.
Nel modello transpersonale, ma non solo in esso, le
moderne metodologie terapeutiche non possono che riconoscersi
in pratiche e fondamenti teorici che derivano da questa
cultura originaria. Una cultura che potremmo anche rintracciare,
in senso esteso, nell’intero processo di trasformazione
fisio-psico-spirituale, come affermano, tra gli altri,
A. Mindell (4), E.C. Mendes (5), S. Grof (6) e P.L.
Lattuada (7).
Le diverse tradizioni sciamaniche, variegate quanto
lo sono i popoli della terra, sono ancora oggi ben vive
e presenti in tutto il mondo, nelle sopravvissute culture
indie, ma anche nelle culture indigene rurali e nelle
moderne metropoli. Per quanto sia seriamente minacciata
l’esistenza della loro espressione pura e di coloro
che ne sono interpreti, lo sciamanismo interessa ancora
centinaia di milioni di persone e si espande rapidamente
attraverso innumerevoli sincretismi. L’antropologia,
l’etnopsichiatria e la psicoterapia transpersonale
hanno già capito l’importanza e la necessità
di conoscere e interagire con questa realtà,
ma è chiaro che questa responsabilità
riguarda molti altri contesti disciplinari,
in ambito medico, filosofico, sociologico, politico,
artistico, ecc.
Lo sciamano tradizionale, definito da
Mircea Eliade (8) ‘colui che padroneggia le tecniche
dell’estasi’, è “lo specialista
di una trance durante la quale si ritiene che la sua
anima possa lasciare il corpo per intraprendere ascensioni
celesti o discese infernali” (…). “Il
termine ‘sciamano’ viene dalla regione siberiana,
in particolare dalla parola tungusa ‘shaman’.
In altre lingue del centro e del nord dell'Asia i termini
corrispondenti sono: lo yakuta ojun, il mongolo buga,
boga e udagan, il turco-tartaro kam”. In altre
regioni del mondo è l’araucan del Cile,
il semang della Malacca, il manang tra i daiachi del
Borneo, il machi degli araucani, ecc. Cambiano i nomi,
ma si riferiscono tutti alla stessa figura: l’uomo-medicina
che, “per mezzo della sua trance, guarisce, accompagna
i morti nel ‘regno delle ombre’ e fa da
mediatore tra gli umani e i loro dei, celesti o infernali,
grandi o piccoli”. Sempre Mircea Eliade ci ricorda
che “lo sciamano è il grande specialista
dell'anima umana: lui solo la ‘vede’, perché
ne conosce la ‘forma’ e il destino”.
Ma soprattutto, “lo sciamano è un malato
guarito, un malato che è riuscito a guarirsi
da se stesso. Quando la vocazione dello sciamano o del
medicine-man si rivela attraverso una malattia o un
attacco epilettoide (attacco epilettico o con le medesime
manifestazioni), l'iniziazione del candidato equivale
spesso alla guarigione” e questa iniziazione “può
essere benissimo effettuata in sogno o nell'esperienza
estatica del neofita”.
A quel punto, l’iniziato accede alle ‘vie
che conducono all'altro mondo’ e, se ci si trova
all’interno di una tradizione evolutiva, mediante
quel cammino l'essere interiore del viaggiatore diventa
armonioso. Nel sufismo, ad esempio, come ci ricorda
lo psichiatra Javad Nurbakhsh (9), l’oblio in
cui versa la mente ordinaria dell’uomo gli “rende
necessaria l’entrata nella Via (tarîqa)
ed il percorso di realizzazione spirituale, affinché
per mezzo della morte iniziatica (fanâ’)
e dello svelamento intuitivo (kashf) l’uomo percepisca
e gusti l’originaria realtà divina, di
cui fino a quel momento era rimasto immemore”.
Arnold Mindell, prolifico autore sul tema del corpo
sognante dello sciamano, ci ricorda che “la via
principale verso il potere è sognare, che è
molto più che ricordare immagini durante il sonno.
È ancora di più del sogno lucido, durante
il quale si resta consci durante il sonno. Sognare è
qualcosa che somiglia alla ‘immaginazione attiva’
di Jung, dove il sognatore incontra esperienze di sogno
sulla carta, attraverso la danza, o nella propria mente,
sotto forma di dialoghi o visualizzazioni. Il sogno
dello sciamano, considerato in profondità, implica
il senso dell’energia e non porta semplicemente
all’insight o al miglioramento della vita quotidiana.
Osservando, identificando, differenziando, confrontando
e seguendo inusuali processi secondari, così
come si presentano in ogni momento, lo sciamano ottiene
vitalità e un rinnovato senso di se stesso”
(10).
Il viaggio sciamanico è
dunque sia la singola esperienza con valore conoscitivo
e terapeutico, sia un modo di intendere ed agire la
propria esistenza quotidiana, sia il cammino spirituale
che procede verso la morte-rinascita, con la quale il
viandante giunge all’iniziazione mistica.
Il comune denominatore è dato da quell’insieme
di qualità che caratterizzano un cammino evolutivo:
la volontà di migliorarsi sotto ogni profilo,
pratico ed etico; il superamento del limite apparente;
la liberazione dalle illusioni; la cura dell’ombra
e l’accesso alla pace, al benessere, all’amore
universale. Come ci ha ricordato Richard Bach con il
suo famoso gabbiano (11), ognuno di noi può imparare
a volare oltre se stesso, oltre ogni ragionevole dubbio.
Note:
(1) Eliade M., Lo sciamanismo
e le tecniche dell’estasi. Edizioni Mediterranee,
Roma 1974 (ed. or. 1951)
(2) Jung C.G., Psicologia e Religione, Bollati Boringhieri,
Torino 1979 (ed. or. 1940)
(3) Zolla E., I mistici dell’occidente, Adelphi
1997; Uscite dal mondo, Adephi 1992; Archtipi, Marsilio
2002
(4) Mindell A., The shaman’s body, HerperCollins,
NY 1993
(5) Mendes E.C., Piscotranse, Pensamento, SP 1980
(6) Grof S., Il gioco cosmico della mente, Red 1998
(7) Lattuada P.L., La biotransenergetica, Xenia 1997;
Oltre la mente, Franco Angeli 2004; Potere spirituale
e guarigione, Meb 1986
(8) Op. cit.
(9) “Il Sufi è colui che si incammina verso
la Verità-Realtà col passo dell'Amore“.
Javad Nurbakhsh, psichiatra iraniano, Maestro dell'Ordine
Nematollahidei Sufi dal 1952 (www.nimatullahi.org)
(10) Mindell A., op. cit. p. 80
(11) Bach R., Il gabbiano Jonathan Livingston, BUR 1977
(ed. or. 1973)
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