Ervin
Laszlo
Intervista di Davide Carlo Ferraris, Paolo Cianconi,
Emma Pizzini, Irene Luzi (2/2008)
n° 17 - 2008
L’intento di quest’intervista
è contribuire a diffondere i fondamenti del pensiero
complesso all’interno della psicologia, in quanto
riteniamo che forse comincino ad esserci più
pazienti sensibili all’argomento rispetto agli
psicoterapeuti, che invece pare si riferiscano ancora
ad un tipo di società non basata sulle reti,
bensì su legami che si stanno ormai sciogliendo.
Inoltre, vogliamo raccogliere e diffondere il suo richiamo
ad una nuova consapevolezza e impegno sociale per meglio
affrontare la crisi planetaria che si va delineando
e che culminerà nel 2012, in quello che in un
suo recente libro lei definisce il punto del caos.
Questo libro sul caos (“Il punto del Caos”,
Apogeo 2007) parla di una problematica attuale, ripresa
in un nuovo libro che affronta in modo più scientifico
la medesima questione; l’editore credo ne abbia
già fatto la traduzione, che dovrebbe uscire
a fine anno (“Il terzo libro della scienza e il
campo akascico”), ma il libro del Caos è
più dedicato alla problematica attuale e c’è
un nuovo libro che è stato presentato il 2 marzo
negli USA, anche questo sarà pubblicato da Franco
Angeli. Non so come sarà il titolo in italiano,
l’editore americano ha scelto, in inglese: ”The
quantum shift in the global brain” (Il cambiamento
quantico nel cervello globale. N.d.c.). Siamo sei miliardi
e mezzo di persone che interagiscono, come una rete
simile alla rete neurologica, diciamo un’intelligenza
comune e tutto questo fa sì che la cultura, non
solo l’individuo, ma la cultura globale cambino
insieme, lentamente, forse troppo lentamente ma c’è
un cambiamento.
Troppo lento rispetto a che cosa?
Alla sfida, alla problematica del collasso ecologico,
sociale ed economico cui stiamo assistendo.
Quando le dicono questa cosa, cioè che la
velocità con la quale noi prendiamo coscienza
del problema è molto inferiore rispetto alla
velocità con la quale procede il collasso, lei
come risponde?
Bisognerebbe facilitare, accelerare il cambiamento della
coscienza, cambiare i valori, cambiare la consapevolezza,
facilitare la spinta, spingere avanti.
Perché parla di circa cinque anni?
Voglio dare questa data, la fine del 2012, come quella
dell’archetipo dell’umanità. Tante
persone ne parlano, diverse culture ne parlano come
un punto chiave, un ‘phase change’, un cambiamento
profondo. La cosa importante non è dire che nel
2012 ci sarà un collasso, bensì considerare
questa data come un punto oltre il quale sarebbe difficile
tornare indietro.
Quanti come lei dicono questa cosa?
Siamo sempre di più.
Sempre di più a che livello?
Al livello di una cultura emergente, la cosidetta cultura
dei ‘creativi culturali’, o ‘nuova
cultura’. Abbiamo fondato anche un club in Italia,
il Club Budapest-Italia, che potete trovare su internet).
Ritengo che il 25-30% degli adulti vogliano trovare
una nuova maniera di pensare.
Essenzialmente un 30% di persone sta modificando
il pensiero?
Si, è pronto a modificare i valori e la percezione,
benché non modifichi ancora molto i comportamenti.
Ci vorrebbe più peso politico, più peso
culturale; queste persone infatti sono tutt’ora
piuttosto disperse. Quello che stiamo facendo qui in
Italia è di creare una rete, che si chiama ‘Rete
Olistica’ (www.reteolistica.it)
che consente a tutti coloro che sono interessati di
registrarsi e prendere contatti diretti con altri che
la pensano in questa maniera. C’è anche
la possibilità di accedere a un’enciclopedia
olistica.
Lei pensa che il passaggio dall’inconsapevolezza
alla consapevolezza presenti degli stadi? Per cui, per
esempio, abbiamo delle persone che sono inconsapevoli,
delle persone che sono mediamente consapevoli e delle
persone che sono efficacemente consapevoli?
Il problema è che non siamo arrivati al punto
critico in cui questa nuova cultura possa esercitare
un peso determinante dal punto di vista economico, industriale
e politico. Le persone sono ancora isolate, anche se
alcuni sono ‘avanti’, e sicuramente voi
lo siete, no? Non siete cosi unici, forse abbastanza,
ma non completamente. Esiste una rete alternativa, una
rete di creativi culturali, com’è stato
rilevato in America attraverso un sondaggio che risale
già a quasi 10 anni fa, per vedere come si sviluppa
questa cultura. Una cultura ancora sottoterranea, non
ancora in grado di emergere pienamente nella coscienza
collettiva. Ora lo rifanno sempre, anche in altri paesi
quali l’Olanda, la Germania, il Giappone, l’Ungheria,
la Francia e ovviamente qui in Italia; recentemente
anche in Brasile.
Come emerge questa cultura, per quanto in misura
limitata? Mediante esponenti di rilievo, oppure dei
congressi?
Una grande spinta l’ha data la consapevolezza
dell’insostenibilità del carico della società
attuale sul pianeta, tutte queste cose che descrivo
anche nel “Punto del Caos”: non si può
andare avanti così, questo dà la spinta.
Ma quanti sono consapevoli che così non si
va avanti?
Secondo questo sondaggio più di quanto noi si
pensi, benchè i mezzi di comunicazione non reagiscano
ancora. Ci sono media alternativi, ma sono piccoli giornali,
piccoli radioamatori; la componente dominante, che esprime
la corrente principale del flusso informativo, il ‘mainstream’,
non reagisce ancora.
Lei ha una teoria sul perché non reagisce
ancora?
Ci sono diverse teorie. Secondo me, la più probabile
è che hanno paura, perché vogliono conservare
la loro posizione dominante e questi cambiamenti sono
sempre pericolosi per coloro che detengono il potere.
Non dovrebbe fare più paura l’apocalisse
certa, rispetto al cambiamento?
Voi che siete psicologi sapete meglio di me che la prima
reazione è ignorare, rimuovere, sopprimere, dire
forte che non è vero o che ci sono ancora 50
anni e comunque la tecnologia potrà risolvere
tutti i problemi, ecc. Sono scuse per non agire, per
non prendere sul serio il problema. Quello che deve
crescere è consapevolezza, più a livello
periferico che al centro del sistema.
Quindi chi ha più consapevolezza? Un popolo
di tipo occidentale o un popolo di tipo tradizionale
in trasformazione? Perché viene da pensare che
forse questa consapevolezza sia una questione più
occidentale, visto che forse siamo noi che possiamo
vedere in maniera più globale il disastro.
Forse noi abbiamo più bisogno di trasformazione,
giacché una cultura di tipo ancora tradizionale
vive più in armonia con il suo ambiente, è
una società più stabile, mentre questa
società moderna, all’avanguardia, quella
tipo Americano, New York, Madison Avenue ecc., si basa
su concetti e valori obsoleti, che le grandi imprese
continuano a promuovere e divulgare. Sono i valori del
modernismo, della casa, dell’automobile, del televisore,
del frigorifero, tutto ciò che è tipico
del modernismo. Quando c’è un po’
di sviluppo come adesso in India, in Cina, ci sono tante
persone che vogliono avere un più alto livello
di vita, non la qualità quanto piuttosto lo standard
di vita, che è quantitativo, economico.
In qualche modo, lo sviluppo offusca la consapevolezza,
perché crea delle zone d’ombra?
Sì, lo sviluppo modernista, lo sviluppo ‘mainstream’,
quello sì.
È prevalentemente questo lo sviluppo che
viene promosso o comunque divulgato.
Viene divulgato questo genere di sviluppo per l’interesse
dei grandi sistemi, delle grandi imprese, le multinazionali.
Vogliono vendere e promuovono un certo tipo di consumismo.
Ma, ai vertici di queste imprese, arriva la notizia
che questo si sta traducendo in un grave rischio per
la sopravvivenza dell’umanità e dell’ecosistema?
Sì, arriva. C’è un certo numero
di imprese che inizia a rispondere, anche se non reagiscono
molto velocemente. Il tema diventa più accessibile,
più riconosciuto. Un esempio è anche la
nostra famiglia. Ho due figli che lavorano in ambito
simile: uno all’università e l’altro
nel mondo dell’impresa, come consulente per il
management. Ha lavorato per grandi imprese per una decina
d’anni, poi ha detto basta e ha voluto fondare
un proprio studio di consulenza per un management sostenibile.
Ha cominciato 6/7 anni fa e i primi due anni non aveva
praticamente clienti, o solamente piccolissime imprese,
mentre negli ultimi 2 o 3 anni sono anche le grandi
imprese ha voler ricevere corsi e dunque informazioni
su come fare. Lui dice che sono aperti, ma nella pratica
non si vede ancora tanta differenza.
Dunque quello che ascoltano poi non viene tradotto
in pratica. In genere, invece, l’auspicio di una
formazione utile è ricevere informazioni, metabolizzarle,
farle proprie e sulla base di quanto appreso cambiare
la propria coscienza, in modo che dal cambiamento derivi
un cambiamento d’azione.
Individualmente sì. È nel cambiare i grandi
sistemi che c’è rigidità: si manifesta
un feedback negativo che elimina la divergenza. È
difficile cambiare un meccanismo complesso. Presso le
Nazioni Unite ho potuto notare che, benché ogni
tanto vengano nominate persone veramente all’avanguardia,
che pensano in maniera avanzata, una volta dentro al
sistema non agiscono. Forse hanno paura o non trovano
il modo di intervenire e quel sistema regge, regge da
sé e governa i comportamenti al suo interno.
È difficile da cambiare.
Come si dovrebbe fare per accelerare i tempi? Forse
ce la faremmo, se avessimo più tempo, invece
pare che il tempo di agire sia poco.
Alcuni dicono che, se abbiamo troppa consapevolezza
della crisi, corriamo il rischio di farci paralizzare
dalla paura. Io penso si debba correre questo rischio,
perché non vedo altra soluzione. La consapevolezza
della crisi imminente può catalizzare una trasformazione
profonda.
Secondo lei, in che ambito gli esseri umani stanno
esprimendo una maggiore reazione?
Nella ricerca spirituale. Dico questo perché
sto lavorando su una cosa abbastanza interessante, anche
come fenomeno. Quando sono stato negli USA, 10 giorni
fa, proprio in quel periodo una personalità della
televisione americana, una donna afroamericana di nome
Oprah Winfrey, ha scelto un libro di Eckhart Tolle che
s’intitola ”A new Earth”, un nuovo
Pianeta, una nuova Terra, e ha proposto al pubblico
di iscriversi a un corso di 10 settimane, una volta
a settimana alle nove di sera, per discutere per un’ora
dell’argomento di questo libro che tratta di spiritualità,
anche se molto in stile New Age, ma almeno è
un’alternativa molto divergente dal pensiero delle
grandi imprese. Ebbene, è successo che gli ordini
di questo libro su Amazon o presso gli altri distributori
non possano ora essere soddisfatti, poichè ci
sono stati 3 milioni e mezzo di richieste, un numero
enorme in America. Un programma televisivo può
fare questo, no? Inoltre, il fenomeno riguarda un libro
che tratta un argomento per noi importante. Questo libro,
che ora mi stanno procurando visto che ormai è
introvabile, suggerisce di concentrarsi sul presente,
di svilupparsi interiormente, di favorire il pensiero
positivo anziché restare nella negatività,
ecc. Tutto questo ci è abbastanza familiare,
no? E ci sono tante persone che ne vogliono sapere di
più, come dimostra il successo dell’iniziativa
della Winfrey. Il mio nuovo libro è previsto
faccia un secondo corso di questo tipo e se prendiamo
un terzo di 3 milioni e mezzo di persone non sarebbe
male, no? Il primo corso sarebbe di 10 settimane, il
secondo corso di 4 settimane, ma di livello più
alto.
Quindi ha intenzione di creare un corso televisivo.
Diciamo audiovisivo, però diffuso su Internet.
Tratterà il tema del mio libro “The Quantum
shift in the global brain”.
Lei ritiene che rifarsi al tema della spiritualità
possa velocizzare le cose?
Sì, perché chiama in causa una sensibilità
che può arrivare a influenzare i comportamenti
e quindi a dare una spinta di cambiamento attraverso
la richiesta di prodotti e servizi sostenibili, come
il biologico, ecc.
In definitiva, a suo parere, su quali punti l’umanità
dovrebbe trovare presto un accordo per fermare il processo?
Fermare il riscaldamento dell’atmosfera, ridurre
di molto l’inquinamento e dare accesso all’acqua,
perché 3 miliardi di persone non hanno accesso
sicuro all’acqua e in 10 anni la quota aumenterà
del 50%. La fame è un grande problema, ma l’acqua
non potabile è la causa principale della maggior
parte delle malattie, come ci ricorda l’OMS (Organizzazione
Mondiale della Sanità). Purtroppo, nonostante
il 2006 sia stato dedicato all’acqua dallo Human
Development Report, la mancanza di acqua continua ad
aumentare e il livello delle falde sotterranee a diminuire.
La popolazione cresce, soprattutto nelle grandi città,
senza che se ne abbia una chiara conoscenza. Ad esempio,
a Città del Messico si stima un aumento di circa
due milioni, da 23 a 25, ma non se ne ha certezza.
Anche a Mosca vengono stimati 8 o 9 milioni di persone,
ma ci sono almeno 3 milioni di abitanti che non si sa
se ci sono o meno, in quanto si tratta di gente che
passa, immigrati clandestini, ecc.
Secondo me, quindi, i tre punti principali d’intervento
sono l’atmosfera, l’acqua e la giustizia
sociale, perché il forte e crescente divario
economico e sociale genera altrettanta frustrazione
e violenza. La struttura della società è
sempre più sotto stress.
Anche l’OMS parla di determinanti socio-economici
della salute e li contestualizza proprio nel cosiddetto
ambiente sociale: dove c’è disuguaglianza
non c’è salute.
Ci sarebbe ancora la possibilità di avere risorse
per tutti, fino a 8 miliardi persone, ma il potere e
la ricchezza sono troppo concentrati e la maggioranza
vive nella scarsità e non ha reale espressione
politica.
Ma l’élite risente del cambiamento?
Ne risente ma non vuole essere consapevole, perché
ha paura di perdere il potere. Alcuni bloccano coscientemente
una trasformazione, altri sono dubbiosi ma per ora fanno
come hanno sempre fatto.
Queste élite sono informate?
Ne sanno abbastanza, probabilmente. Il livello intellettuale
e di cultura dell’élite è alto,
ma cosa accada veramente nella testa di coloro che bloccano
o non vogliono reagire è difficile da comprendere.
Forse sono troppo lontani dal problema, pensano
di non rientrare nella possibile catastrofe, pensano
che se l’acqua arriverà alta si troveranno
al piano di sopra. Forse, come dicevamo, è la
paura l’elemento chiave, la perdita dei vantaggi
è un fattore importante.
Quando si parla con loro a livello individuale sono
consapevoli, però la contestazione più
ricorrente è che c’è una concorrenza
molto stretta che obbliga a difendere la propria posizione
secondo le logiche attuali. Chi abbandonasse la posizione
verrebbe subito sostituito da altri e dunque non vuole
sacrificarsi inutilmente.
Lei pensa che queste persone abbiano un pensiero
sul futuro, si preoccupino della sorte dei figli, della
generazione successiva?
Non molto, probabilmente. Quelli che sentono la necessità
davvero di fare qualche cosa per gli altri sono le persone
vicine al pensionamento, oppure i giovani, non coloro
che sono attivi nel mercato del lavoro. Dal suo interno,
il sistema è difficile da trasformare. Secondo
la mia conoscenza dei sistemi complessi, a questo punto
di biforcazione è difficile trasformare il sistema
da dentro. Un sistema si trasforma quando arriva ad
un punto abbastanza critico di insostenibilità,
quando strutturalmente non regge più. La spinta
però viene sempre da fuori. Gli elementi interni
vogliono sostenere il sistema così com’è,
senza cambiare niente. Il problema è che all’interno
il potere è ben organizzato, mentre all’esterno
c’è dispersione e mancanza d’organizzazione.
Forse gli elementi esterni che hanno coscienza sono
ancora troppo distanti tra di loro? La rete effettivamente
ancora non c’è?
Non è ancora abbastanza ampia e organizzata.
Inoltre, gli esponenti di questa nuova componente sociale
di creativi culturali pensano di essere meno numerosi
di quanto non sia in realtà. Ad esempio, in America,
quando i ricercatori domandano a costoro di stimare
la loro dimensione, rispondono circa 5 milioni di adulti,
mentre invece secondo i sondaggi sono 45 milioni. Dicono
”siamo pochi”, mentre potrebbero dire, con
ragione ”siamo tanti!”
Tornando a coloro che detengono il potere decisionale,
lei ha pensato a qualche stimolo informativo specifico
diretto a questo gruppo?
Come ho fatto nel libro ‘Il punto del Caos’,
tratto appunto di queste problematiche. Di recente ho
anche ricevuto alcuni inviti da grandi imprese, come
BASF o Deutsche Bank, e il fatto che vogliano ascoltare
è un buon segnale, ma poi non sembra che riescano
a cambiare concretamente e in modo sostanziale le pratiche
correnti. Vi segnalo una cosa interessante: ho fatto
una presentazione ad un gruppo che si chiama YPO, the
Young Presidents Organization, ne fanno parte circa
1.500 membri, tutti sotto i 35 anni pur essendo presidenti
di società di un certo rilievo. Un invito che
già in sé costituisce un buon segnale.
Poco dopo ho ricevuto un invito da un’altra organizzazione,
Young Enterpreneurs Organization, giovani imprenditori:
stesso livello di impresa, stesso limite di età,
ma la differenza è che sono imprenditori, non
presidenti nominati, dunque proprio coloro che hanno
il potere di agire, di trasformare le cose attraverso
le loro imprese. In questo gruppo, che ha più
potere reale, credo sia diffuso il sentimento che un’apertura
consenta l’opportunità di trarre profitto
anche dalla crisi. In fondo, sono tutti giovani abbastanza
opportunisti, che hanno fatto carriera trovando sempre
come agire secondo le circostanze e forse ora alcuni
pensano a come adattarsi trovando un possibile vantaggio
nella nuova condizione di crisi. Insomma, la situazione
è complessa.
Dal vostro punto di vista, quanti sono i teorici,
diciamo planetari, che hanno un’influenza? Altri
come lei o come Zygmunt Bauman, ad esempio?
Francamente io non credo di avere influenza, né
la vedo in altri. Parliamo, scriviamo, questo è
tutto. Io preferisco indirizzarmi al pubblico in generale,
piuttosto che alla leadership stabilita. La consapevolezza
generale deve crescere, in modo che si voglia qualcosa
di diverso. Ad esempio, alcuni nuovi prodotti come le
auto ibride (automobili con motori bimodali) sono stati
sottovalutati. Alcuni anni fa la Toyota ha lanciato
sul mercato il modello ‘Prius’, senza grandi
aspettative: la performance non è superiore,
anzi è minore delle auto normali e costa di più.
Ci vogliono 10 anni per ammortizzare la spesa e chi
vuole aspettare 10 anni? Invece c’è stata
una grande domanda e si devono attendere sei mesi per
ricevere il modello! Evidentemente non entrano in gioco
solamente aspetti di calcolo, è anche una questione
di valori.
Lei pensa che ci siano ancora abbastanza valori
rimanenti? Dopo tutto lo sconquasso che c’è
stato nel ‘900?
È stato sottovalutato anche questo cambiamento,
perché non sanno che c’è veramente
un cambiamento in corso. L’ascesa di Barack Obama
in America, nonostante sia per metà afro-americano,
ne è un segnale. È un giovane che ha un
certo carisma, un certo coraggio, ricorda un po’
Kennedy. Forse un avversario conservatore come McCain
potrebbe ancora ricevere più voti, o essere comunque
imposto dall’alto come probabilmente è
avvenuto con Bush, il che ci riporta all’importanza
di un cambiamento dal basso. L’opinione pubblica
è fondamentale e la sensazione che le cose non
vadano per il verso giusto è sempre più
diffusa. Anche qui in Italia tutti i contadini dicono
che qualcosa deve cambiare, che così non va bene,
che non siamo sulla buona strada. Non è fatalismo,
il fatalismo è pericoloso perché dice
che il futuro è un disastro e non c’e niente
da fare. Mi ricordo una barzelletta per dire qual è
la differenza tra un ottimista e un pessimista: l’ottimista
ritiene questo il mondo migliore possibile, il pessimista
teme che l’ottimista abbia ragione. Nessuno dei
due fa niente, perché non ha ragione di fare
alcunché.
Pensa che l’attenzione verso il mondo spirituale
potrebbe aiutare, considerando la crisi spirituale che
ha caratterizzato la modernità in occidente e
forse nel mondo?
In effetti si registra una crescita di attenzione verso
la spiritualità, non la religiosità, quanto
proprio la spiritualità, il che è diverso.
Ogni religione è dottrinale, il fedele deve seguire
gli insegnamenti della propria chiesa. La spiritualità
invece è sviluppo interiore, nella sua essenza.
Il buon religioso è profondamente spirituale,
ma non tutti sono buoni religiosi. La religiosità
può esistere senza spiritualità e la spiritualità
può esistere senza religiosità. In ogni
caso, la vera spiritualità è oggi più
potente, cresce tra la gente inducendo molti a cercare
dentro se stessi, a capire il proprio compito in questo
mondo in cambiamento. È interessante notare quanti
diversi eventi vengono organizzati ultimamente su questo
tema del compito. Qual è il compito oggettivo
per la nostra generazione o per l’umanità?
Abbiamo un compito davanti a noi, c’è qualcosa
da fare oppure dobbiamo affidarci al caos di un mondo
in cui tutto sia accidentale, a-causale!
Forse potremmo dire che la nostra cultura post-moderna,
che sembra non abbia più nessuno scopo, abbia
invece il più importante di tutti: organizzare
la salvezza, permettere la frenata, riorganizzare le
attività con un diverso utilizzo delle energie,
ecc.
Sì, possiamo darci l’onorevole scopo, in
termini immediati e concreti, di ritrovare i nostri
rapporti l’uno con l’altro, nonché
il rapporto umano con l’ambiente, con la biosfera,
sentire che siamo responsabili, non solamente per noi
quanto anche per gli altri, per tutto quello che accade.
Questa è la prima cosa. Amore è la parola
che viene usata sempre più spesso, in diversi
ambienti. Non solamente amore dei giovani o fra sessi
diversi, amore fisico, bensì anche amore ‘spirituale’,
potremmo dire, quello al quale si riferiscono il cristianesimo
o il buddhismo, ad esempio. Questa parola riavvicina
all’idea di collegarsi, ritrovare rapporti uno
con l’altro. La mentalità moderna è
invece una mentalità classica, classico-moderna,
diciamo newtoniana. Secondo questa visione, noi siamo
tutti individui isolati e competitivi e non abbiamo
niente in comune con gli altri, tanto meno interessi
comuni; con gli altri abbiamo rapporti solo se consentono
di avere benefici o profitti maggiori rispetto al fare
da soli. Un approccio molto pragmatico, a corto termine.
I rapporti sono tutti esterni, la causalità è
esterna, non c’è niente di interiore.
Le metodologie che stanno diffondendosi negli ultimi
tempi, per esempio di meditazione, di riavvinicinamento
alla natura, quelle che noi definiamo di tipo transpersonale,
lei le vede positivamente, dunque?
Sì. Vi riporto un’esperienza personale
di circa 10 giorni fa a San Francisco, dove sono stato
invitato da un gruppo buddhista della Soka Gakkai. Mi
hanno proposto un incontro in Giappone con il Signor
Daisaku Ikeda, una personalità di questo culto,
probabilmente il prossimo ottobre. Pare abbiano trovato
tanti elementi comuni tra la mia teoria e il loro buddhismo,
che deriva dagli insegnamenti di Nichiren Daishonin.
È interessante, no? Il loro buddhismo è
molto più vicino al nuovo paradigma scientifico,
alla ‘nuova scienza’, rispetto al cristianesimo
tradizionale. Secondo la loro visione, tutti evolvono
insieme uno con l’altro, in inglese si dice ‘dipendent
core evolution’ (‘Principio di interdipendenza’.
N.d.c.). Tutto è collegato con tutto.
Quasi un aspetto quantistico?
Si può interpretare come effetto quantistico,
ma riconoscere che nel mondo tutto è collegato
non è privilegio della ricerca fisica, perché
altri come Bergson, come Whitehead, tanti grandi filosofi
del processo, detti process philosophers, hanno parlato
dei collegamenti interni di tutto il mondo come un sistema
unico che evolve insieme. Ora ritroviamo questo nel
mondo quantistico, microscopico, però questo
tipo di collegamento si trova anche nel mondo macroscopico.
Le altre dimensioni presentano sempre lo stesso tipo
di rapporti, secondo connessioni non-locali (vedi anche
teoria dell’universo olografico. N.d.c.). Dunque
non c’è niente di puramente newtoniano:
una massa qui, una massa laggiù, collegate solo
con rapporti esterni di casualità. Quello è
un concetto obsoleto. Invece, sappiamo adesso che tutto
cambia se uno cambia, perché ogni altro aspetto
del mondo è influenzato da questo cambiamento.
Una concezione co-evolutiva.
sì, co-evolutiva e post-darwinista, in quanto
considera l’evoluzione dal punto di vista sistemico,
ecologico. Il mondo come un sistema. Cominciai a scrivere
di questo 40 anni fa, mentre si andava delineando il
nuovo paradigma scientifico. Cambia la mentalità,
cambia il paradigma di riferimento, cambia la maniera
di vedere il mondo. Purtroppo c’è ancora
questo atteggiamento ‘tecnicista’ che vede
la scienza solo in quanto ricerca pura, lontana dalla
società, dalla politica, dal mondo pratico. Invece,
secondo me, la visione del mondo sta cambiando proprio
tra gli scienziati, anche se non abbastanza da modificare
i comportamenti ed essere pienamente visibile. La tensione
tra vecchi e nuovi criteri guida è in pieno fermento,
con effetti contrastanti rispetto alle scelte di percorso.
È un po’ come se ci fosse sfuggito il sistema
di controllo? Oppure siamo noi ad essere sfuggiti al
sistema di controllo?
Viviamo ora in un sistema instabile, dunque non ben
controllabile da coloro che detengono il potere. Com’è
accaduto nel 1989 con il sistema comunista in Europa
orientale: c’era il partito comunista, i governanti,
ecc., ma non poterono reggere e siamo arrivati al punto
dove tutto è cambiato, trasformato ad un tratto.
Questo sarebbe il punto di cambiamento per il sistema
capitalistico?
La questione non è solo economica, è soprattutto
sociale, ma certo la produzione e lo scambio di beni
sono centrali. A parte il Vietnam del Nord e piccoli
paesi, non ci sono veramente alternative al mercato,
mercato libero, che sappiamo però non essere
mai tale: ci sono tanti poteri che interagiscono e influenzano
il mercato; il mercato completamente libero è
pura idealizzazione. D’altronde non abbiamo molte
altre alternative e dobbiamo fare i conti con il mercato
anche se non è libero, anche perché esprime
la crisi di questo sistema che vi introduce valori di
corto termine, egoistici, di ricchezza, di potere.
Considerando l’importanza e l’influenza
che a tutt’oggi caratterizza la religione a livello
mondiale, come spiega quella che sembra un’assenza
di ruolo dei leader religiosi riguardo a questa crisi,
al contrario degli scienziati che invece sempre più
spesso ne parlano?
Alcuni vogliono fare qualcosa, come il Dalai Lama, che
ne parla sempre, certo da una posizione molto speciale.
Gli altri credo risentano del timore cui abbiamo fatto
cenno prima: quando il sistema diventa instabile, emerge
la paura di… in inglese si dice “to rock
the boat” (smuovere le acque. N.d.c.). Ma alcuni
vogliono reagire, fare qualcosa. Ho un amico, una persona
che stimo molto, Sri Sri Ravi Shankar, riconosciuto
come principale esponente dell’induismo indiano
e seguito da milioni di persone, con il quale abbiamo
convenuto di fare qualcosa questo autunno, una riunione
di capi spirituali di diverse religioni. Ci sono già
un centinaio di adesioni, in gran parte di piccoli gruppi
religiosi. Il Vaticano ha comunicato la presenza del
Segretario di Stato in delega al Papa.
Lei come vede la posizione della Chiesa cattolica
verso un movimento di tipo ecologista?
Non saprei dire con esattezza; di certo so che la Chiesa
e l’Università, in quanto strutture tradizionali,
sono due grandi organismi conservatori.
Quindi mette anche l’Università tra
le strutture che non cambiano?
L’Università è la più grande
e la più difficile da cambiare. C’è
un potere ìnsito nel corpo docente, oltre che
nella struttura: ogni nuovo insegnante era già
allievo del professore precedente, dunque c’è
sempre un chiaro passaggio d’eredità, senza
soluzione di continuità. A maggior ragione quando
l’Università è ricca e ha prestigio.
Le grandi università non cambiano molto. A volte
sembra il contrario perché si dimostrano all’avanguardia
con professori e ricercatori conosciuti, ma la struttura
non cambia; possono variare i contenuti di alcuni seminari,
ma non la struttura stessa: tutto rimane sempre separato
e le conoscenze non si integrano in una nuova concezione
della facoltà. Del resto, nei fatti anche tra
i docenti prevale una modalità d’azione
molto competitiva e territoriale. Io non sono tornato
alle Nazioni Unite dopo averle lasciate, come non sono
tornato in Università, avevo difficoltà
a ri-adattarmi a questa mentalità, tutti arroccati
come in una torre d’avorio. Un cambiamento può
provenire solo dalla base, dal margine; anche l’evoluzione
della specie procede sempre dal margine.
Pensa che la nostra generazione sia capace di fare
un sacrificio? Sacrificare se stessa, rinunciare a tanti
privilegi, per un futuro migliore?
Il sacrificio dipende dai valori. Se il mio valore è
avere la più grande macchina, una piccola macchina
sarà un sacrificio. Se il mio valore è
di risparmiare e di essere prudente, non mi sarà
così dificile esprimere un consumo più
consapevole. Oppure, andare in bicicletta è meglio
che fare un altro viaggio, ecc., ma certo sacrificarsi
è difficile, come anche rivedere valori che sono
radicati nella tradizione. Dobbiamo trovare un nuovo
valore, o meglio una nuova visione del mondo. Dobbiamo
capire che siamo tutti insieme, che siamo arrivati a
un punto critico e dobbiamo agire insieme per creare
un mondo più consapevole, più in pace,
più sostenibile e che questo è possibile.
La possibilità c’è, ma non per lungo
tempo. Questo è il problema: la possibilità
non resterà ancora aperta a lungo. Sappiamo che
un flusso positivo, una volta lanciato, diviene quasi
impossibile da frenare quando si innesca un processo
di “exponential growth”, di crescita esponenziale,
in cui ogni elemento spinge in avanti l’altro
(“run away”). Sono processi che conosciamo
dalla cibernetica e riguardano l’ambiente, come
la società e le imprese. A livello d’ambiente
naturale, la biosfera è un sistema stabile e
da cinque miliardi di anni si è mantenuto più
o meno dentro una soglia limite. Ora invece stiamo profondamente
sollecitando quest’equilibrio e, se s’innesca
un processo di feedback positivo di tipo “run
away”, allora il rischio è non poter più
intervenire, con grave rischio di sopravvivenza per
la maggioranza della popolazione mondiale entro i prossimi
venti anni. Un gran pericolo incombe sull’umanità,
ma pochi se ne vogliono veramente rendere conto.
C’è dunque il rischio di un vero e
proprio cataclisma generale entro vent’anni?
Purtroppo sì, per un’ampia serie di fattori
convergenti, secondo la dinamica esposta prima. Solo
per fare un esempio, si è visto che alla riduzione
delle calotte polari corrisponde un aumento della superfice
scura del pianeta (dall’alto, l’acqua è
piu scura del ghiaccio), che assorbe così più
calore con ulteriore scioglimento dei ghiacci e così
via, in accelerazione progressiva. Si rischia un’escalation
simile ad una guerra, molto difficile poi da gestire.
Abbiamo 4,5, massimo 10 anni per intervenire, ma tenere
la data del 2012 come ‘punto di controllo’
mi sembra appropriato, visto che già molti ne
parlano anche per motivi spirituali. Due settimane fa
ho visitato il museo antropologico di Città del
Messico, dove è conservato il famoso calendario
Maya; come ricordano gli antropologi, i Maya hanno fatto
calcoli molto precisi sui movimenti stellari del nostro
sistema, con cicli esatti di 6 mila anni, uno dei quali
si conclude appunto nel 2012. Proprio adesso che, a
tutti gli effetti, sembra approssimarsi un cambiamento
profondo.
Come potevano prevedere tanto tempo fa quello che
sarebbe diventata l’umanità, il colasso
imminente?
Forse mediante osservazione consapevole di fenomeni
a noi sconosciuti; forse potremmo supporre di non essere
l’unica specie intelligente di questa parte della
galassia e che l’informazione sia giunta da fuori.
In fondo, pensare che siamo l’unica specie consapevole
dell’universo non è ragionevole. Ho amici
ricercatori che sono abbastanza convinti che un contatto
con specie extraterrestri ci sia o ci sia stato, ma
si voglia mantenere un segreto completo per timore del
cambiamento; forse, peraltro, questi esseri non vogliono
interferire nel nostro mondo. In ogni caso, la natura
è più viva e più complessa di quanto
non pensiamo.
Cosa suggerirebbe ad un adolescente del mondo occidentale,
nella programmazione dei prossimi 10 anni della propria
vita?
Di informarsi e poi di agire secondo la sua ‘insight
survey’, la nuova conoscenza scaturita dalla sua
indagine intuitiva. Si può fare tanto! Già
come individui, si può vivere i propri rapporti
in maniera ‘sostenibile’. Si possono evitare
illusori effetti specchianti, trovare alternative. Dunque
per prima cosa informarsi, essere più consapevoli.
Quali sono secondo lei le migliori fonti di informazione?
Purtroppo non i media. Ci sono libri, c’è
tutta questa cultura alternativa che in parte è
New Age, un po’ pazza, ma ci sono anche fonti
d’informazione molto interessanti. Ad esempio,
in Italia abbiamo provato a mettere insieme quest’enciclopedia
olistica, una fonte d’informazione abbastanza
interessante su diversi argomenti, quali salute o ecologia,
dal punto di vista olistico. L’informazione si
trova, soprattutto su internet, dove c’è
ormai tutto. Nella scuola forse è più
difficile, quindi è proprio necessario muoversi
fuori dei percorsi stabiliti, ‘out of the mainstream’.
Molti giovani sentono che non stiamo andando lungo la
strada giusta, cercano risposte ed è giusto parlare
di questo tema e far sapere che ci sono alternative.
Sono le nuove generazioni ad esprimere un atteggiamento
più ecologista e più consapevole, si vede
già da come vestono e dalle abitudini; purtroppo,
nella loro ricerca, molto spesso hanno difficoltà
a trovare la propria strada.
Un suo libro da suggerire ai giovani?
”Tu puoi cambiare il mondo”, con la prefazione
di Gorbaciov. Un testo ricco d’indicazioni su
cosa fare concretamente. La cosa importante è
che ci siano persone impegnate a fare qualcosa, non
solamente a parlare a casa propria. La spinta arriverà,
presto o tardi: ognuno è bene che agisca nel
proprio campo.
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